martedì 31 luglio 2012

Statistiche e curiosità

Eccoci al consueto post estivo, leggero ma tutto da leggere e che mi consente di prendermi una pausa di ozio marino, solare e sabbioso, ricaricando un po' le batterie.

E' un riepilogo molto "soft" che ho già realizzato qualche tempo fa perchè è davvero curioso scoprire con quali chiavi di ricerca (sono i termini che si inseriscono in un motore di ricerca, ad esempio Google) qualcuno arriva in questo blog.
Prima però qualche statistica sul blog.
Il blog ha ricevuto dalla sua creazione più di 700.000 visite con una media di 927 visite al giorno. Il picco è stato di il 19 maggio 2010 con 5114 visite (giorno di pubblicazione dell'articolo dedicato alla triste vicenda di Clara Palomba). La metà delle visite provengono da lettori "abituali", il resto da nuovi visitatori. Dopo quelli italiani, il maggior numero di visitatori provengono dalla Svizzera e dalla Germania.
Il 43% di loro usa Firefox come browser. Oltre 30.000 visite provenienti da Facebook e più di 1.000.000 di pagine lette da quando esiste MedBunker.
Chi l'avrebbe mai detto? Chi mi segue dall'inizio (ormai più di tre anni fa) sa benissimo come tutto sia iniziato per caso e quindi un ringraziamento va a tutti quelli che mi seguono e sostengono (dai primi lettori all'ultimo).



Ora basta con i numeri, molto più interessante ed esilarante controllare le chiavi di ricerca con le quali alcuni visitatori arrivano al blog. Oltre alle "normali" chiavi (chi ricerca informazioni su una cura alternativa, chi su termini medici, chi cerca statistiche), rovistando tra i termini che hanno portato qui i visitatori c'è da restare stupiti.
Il resoconto è indispensabile.

Qualcuno è arrivato cercando: "come si fa i ragi is con gli occhi" (presumo volesse conoscere il metodo per avere la vista a raggi X), un altro cercava i  "9 orifizi umani" (non mettetevi a contare quanti ne avete voi eh?) e c'è di peggio:
autoerotismo deodorante
assorbente interno arresto cardiaco
film ornografici (sic)
metodi magici per elminare le verruche
tagli per capelli che si gonfiano
terapie antitumorali alternative punture a base di letame
come si capisce se si è planoterapeuti
vagina zucchina
come si fà la supercazzola
Consigli su sesso strano
paranormali mosche in casa
come smettere di mangiarsi le caccole

C'è lo speranzoso:  ho un problema che non riesco a risolvere conoscete una preghiera miracolosa
...ed il deciso: i radioterapisti non sanno niente
I dubbi della vita: paperino perchè non sa parlare?
Ognuno ha i suoi guru:  Pippo franco usa un metodo per curarsi qualsiasi cosa come si chiama?
Insomma...una buona parte di visitatori del blog cerca l'impossibile e finisce qui. Spero per loro che qualcosa di interessante abbiano trovato.
Non meno curiose sono le chiavi di ricerca a sfondo sessuale, spesso esilaranti e davvero ci si chiede: ma la gente per cosa utilizza internet?

cerco uomo per semeterapia

Congresso di ginecologi


Oppure (chiedo perdono per i termini volgari):

Il più curioso: Vorrei guardare dentro una f*ga
Il metodico: schema vagina
Ho perso i riferimenti: la f*ga e la coscia
Sesso estremo:  Farsi aspirare il pisello dall'aspirapolvere
L'invidioso:  Il pene del mio amico
I rischi di vivere da solo: Incidenti domestici con bambole gonfiabili
I rischi di vivere da sola: Mi è scoppiata la penna dentro la vagina

...ed evito le più pesanti...

C'è quella che vuole andare a colpo sicuro: dimensioni del pene come indovinare prima ed il pedofilo estremo: erezione feto.
Ed infine mi chiedo: capisco che il mio blog possa avere una valenza di utilità sociale e spesso si cercano informazioni affidabili, ma...:
  •  Ipnotizzare la moglie
  •  E vero che con l'occhio di granchio cade la verruca
  •  Gli oggetti più strani che vi siete infilate
  •  I rettiliani sono velenosi?
  • Come aiutare amico complottista
  • Come far riprendere un pesce rosso ha gli ultimi respiri
...non pensavo fino a questo punto.

E poi colui che ha trovato la giusta via:  "Come si chiama il sito che dice la verità" ...ed è arrivato qui.


Buone vacanze a tutti!

Alla prossima.

lunedì 23 luglio 2012

Riconosciuta l'omeopatia! No, non proprio, anzi...

Mentre in California la Boiron ha stanziato 12 milioni di dollari  per risarcire i consumatori che si sono sentiti truffati dalle scarse informazioni sulla reale natura dei prodotti dell'industria omeopatica (ed altri 5 milioni per ulteriori risarcimenti in corso), mentre nello stesso stato sono in corso sei denunce per pubblicità ingannevole perchè i consumatori non erano stati avvertiti che nei prodotti omeopatici c'è solo zucchero, mentre in Australia l'istituto superiore della sanità ed il Medical Research Council hanno definito l'omeopatia senza basi e non etica seguendo la denuncia dell'associazione britannica dei medici che ha definito l'omeopatia "stregoneria".

Insomma, mentre si cerca di proteggere i consumatori di tutto il mondo dal fenomeno paranormale chiamato "omeopatia", in Italia le multinazionali omeopatiche stanno ottenendo quello che inseguono da anni.
L'organizzazione mondiale della sanità si era già pronunciata nel 2009 a proposito dei trattamenti che alcuni omeopati proponevano per malattie come la malaria, l'HIV o le dissenterie: l'omeopatia non è una cura e non apporta alcun beneficio.
Da noi in Italia si va verso un'altra direzione.
Una normativa europea mai applicata completamente nella nostra nazione, vuole che i farmaci omeopatici siano registrati esattamente come i farmaci veri. La lobby delle aziende omeopatiche vuole forse porre un freno al crollo delle vendite, che dopo un picco all'inizio degli anni 2000 oggi sono sempre più in calo, dimostrato dall'ennesima chiusura di farmacie omeopatiche storiche, come successo in Irlanda.
Certo, il loro iter sarà "veloce" e semplice ("semplificato", si dice), non avranno bisogno di dimostrare di essere efficaci (non potrebbero riuscirci mai) ma basterà dimostrare che non siano pericolosi (come fa lo zucchero ad essere "pericoloso"?), in effetti i "criteri" di ammissione sono più che semplici.
Nulla di eclatante o "rivoluzionario", si tratta semplicemente dell'applicazione di una legge europea che noi italiani stentiamo ad applicare. Naturalmente ora assisteremo alla sfilza di articoli pubblicitari che parleranno di "svolta storica" o "riconoscimento dell'omeopatia" ma basta ricordare che, anche stavolta, si tratta di un "riconoscimento" burocratico, non scientifico, la scienza ha già bocciato (dopo ben 2 secoli di prove a sfavore, quando non bastasse semplicemente essere ragionevoli) l'omeopatia. Questo provvedimento permetterà alle aziende omeopatiche di vendere prodotti che in Italia non vedevano la luce (per esempio la cura omeopatica per l'autismo a base di ghiandole di rospo tanto assurda che lo stesso addetto stampa dell'azienda l'ha scambiata per una battuta ironica) o di poter commercializzare i loro prodotti all'estero.


Ma cosa cambia alla fine con questo nuovo ordinamento?
Niente a livello scientifico, tanto su quello commerciale.
I farmaci che in Italia sono venduti come omeopatici devono avere delle caratteristiche ben precise (e questo finora è sempre avvenuto) ma come tutti i farmaci dovrebbero essere controllati e registrati dall'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, l'ente che si occupa di approvare la commercializzazione di un prodotto farmaceutico). L'Italia non ha mai trasformato in legge la direttiva europea (risalente al 2001) che obbligava questo passo della procedura ma per permettere la vendita di omeopatici ha rinnovato periodicamente l'autorizzazione alla vendita (l'ultimo rinnovo sarebbe scaduto nel 2015) recependo la direttiva con la legge 219/2006 ma senza applicarla del tutto. Per esempio in Italia non è possibile riportare nella confezione degli omeopatici l'indicazione all'uso del prodotto (come per l'Oscillococcinum potrebbe essere l'influenza) né la posologia, non è permessa la pubblicità e non è possibile vendere rimedi omeopatici "nuovi". In quasi tutti gli stati europei (fa eccezione la Spagna) queste possibilità sono esistenti da anni. La notizia quindi è che sarà definitivamente applicata la normativa europea ed i prodotti omeopatici potranno essere venduti senza bisogno di "rinnovare" l'autorizzazione periodicamente applicando così tutte le norme previste. Essendo inoltre farmaci "registrati" possono essere esportati e sperimentati ufficialmente.

La procedura di registrazione di un prodotto omeopatico è "semplificata", deve avere cioè le stesse garanzie che devono offrire i farmaci veri tranne una, la dimostrazione di efficacia (art.16 del DL 219/2006).
Per poter ottenere la procedura semplificata di registrazione all'AIFA un prodotto omeopatico deve avere (sempre secondo l'articolo 16):
  • via di somministrazione orale o esterna;
  • assenza di indicazioni terapeutiche particolari sull'etichetta o su qualunque altra indicazione relativa al medicinale;
  • grado di diluizione tale da garantire l'innocuità del medicinale.
Il secondo punto probabilmente sparirà con la nuova normativa.
Risultato di questa "svolta storica"?

Per i consumatori nulla: zucchero avevano e zucchero rimarrà, forse avremo la garanzia di maggiori controlli nei processi di produzione e sicuramente assisteremo alla nascita di nuove confezioni di granuli con l'indicazione per le più svariate malattie, un modo come un altro per le aziende di raggiungere più clienti e quindi guadagnare di più. Dal punto di vista commerciale l'unico requisito "curativo" che devono avere i prodotti omeopatici è quello di "non fare male" (essere innocui). Per le industrie cambierà molto, potranno aprire nuovi mercati e trovare altri clienti anche per l'introduzione (per la prima volta dal 1995) di nuovi rimedi, per esempio i nosodi (principi attivi omeopatici derivati da parti o secrezioni di esseri viventi), come lo sputo di un tubercolotico, il pus di un malato di scabbia o un po' di batteri fecali ricavati da dissenteria (voi direte: stai scherzando? No). Si tratta quindi di un riordino burocratico e commerciale, nessun riconoscimento (come qualcuno, al solito, cerca di raccontare). Riconosciuta l'omeopatia quindi? No, non proprio, anzi, sarà l'occasione per renderla ancora più ridicola.

Potranno essere immessi in commercio infatti tanti preparati omeopatici che in Italia ancora non avevano visto la luce. Qualche esempio?

Muro di Berlino omeopatico: per ansia, pessimismo, panico.
Raggi X omeopatici: per stanchezza, nausea, reumatismi.
Insetticida per pecore omeopatico:  per intossicazioni, avvelenamenti, nausea.
Placenta omeopatica: per otite, mal di gola, tosse, deficit immunitari.
Elettricità omeopatica: per agitazione, allergie, ansia.
Saliva di cane rabbioso, omeopatica: per dolori ossei, convulsioni, disturbi nervosi.
Luce di Saturno omeopatica:  traumi dell'osso e dei nervi.

Bastano?
Ottimo.

Dal mio punto di vista c'è poco da commentare, la legge è legge e bisogna rispettarla ad ogni costo. Potrei notare che esistono tanti di quei problemi che meriterebbero più attenzione rispetto alla regolamentazione dei prodotti omeopatici, ma così è e va bene. Però gli omeopati non dicano da ora in poi di essere boicottati dalle istituzioni, mi sembra che venga loro concesso più di un piccolo spazio.

Una regolamentazione dell'omeopatia a questo punto non deve essere vista per forza come un fenomeno negativo, ricordate che più il consumatore dispone di mezzi per informarsi più diventerà consapevole dell'assoluta mancanza di utilità di certi acquisti e forse solo così sarà consapevole di comprare zuccherini a peso d'oro credendoli curativi.

Lo stesso discorso si potrebbe fare con l'astrologia: sarebbe "negativa" o da biasimare una regolamentazione dei tarocchi e dei veggenti? Probabilmente no, almeno chi vende illusioni è regolarmente registrato e non vive nel limbo dell'incertezza civile, tanto esistono frotte di appassionati felici di regalare soldi a chi "legge" gli astri. Sta poi a chi governa una nazione informare la popolazione dei rischi di affidarsi alle superstizioni. Qualcuno comunque è contrario alla "regolamentazione" delle medicine alternative, si regalerebbe credibilità a pratiche che sono più rappresentanti delle superstizioni che della scienza. Nel frattempo il mondo va avanti e se il Centre of Inquiry canadese chiede il ritiro di tutti i prodotti omeopatici dalla vendita nei supermercati, la FDA ha annunciato che prenderà in esame la proposta di una petizione pubblica statunitense di sottoporre i prodotti omeopatici agli stessi test di efficacia di quelli farmacologici.
Ne vedremo delle belle quindi.

Dal punto di vista scientifico quindi cambia molto poco, l'omeopatia resta un fenomeno paranormale che non ha mai mostrato di funzionare più di un placebo (inutile farsi prendere da crisi isteriche, omeopati, dimostrate il contrario!) ma le aziende, giustamente cominciano a saltellare per l'opportunità fornita. D'altronde, chissà perché, le aziende omeopatiche hanno sempre goduto di una fama inspiegabile, contrapposta a quella delle "cattive" aziende "allopatiche", come se le prime vivessero di aria mentre le seconde fossero solo avide di denaro. Così non è, naturalmente ed anche le aziende omeopatiche sanno essere venali, scorrette e disoneste.

L'ultimo scandalo in ordine di tempo è quello emerso in Germania, un gruppo di aziende omeopatiche (tra le quali la nota Heel, distribuita in Italia dalla GUNA e la Weleda, notissima in Germania) ha creato una sorta di associazione, la DHU. Lo scandalo è scoppiato quando si è scoperto che il gruppo ha finanziato con una somma di 43.000 euro l'anno (scommettiamo che i soldi non erano omeopatici?) il giornalista e blogger Claus Fritzsche per una missione: criticare e demolire l'immagine dei critici dell'omeopatia e degli scettici con particolare accanimento nei confronti del professor Edzard Ernst, docente di medicine complementari e noto critico delle medicine alternative, un atteggiamento tipico delle lobby più agguerrite e minacciose. Il continuo accanimento e gli attacchi personali (non sempre corretti) del giornalista sono stati fatali, l'uomo ha ammesso di aver ricevuto finanziamenti dall'industria omeopatica. La replica delle aziende è piuttosto scarna: "non c'è niente di strano nel finanziare un giornalista". No eh?
Peccato che questo facesse di tutto per attaccare a pagamento le persone (non i fatti, quindi, ha usato insulti e diffamazioni) che criticavano ferocemente l'omeopatia, deontologicamente e moralmente vergognoso quindi ed anche contro il codice professionale dei giornalisti del suo paese. La Weleda dopo la diffusione della notizia ha annunciato di voler sospendere i finanziamenti.
Curioso, si accusano i critici dell'omeopatia di essere "pagati da Big Pharma" e si scopre che è "Big Homeo" a pagare chi li perseguita.

Ecco, quando vi raccontanto che l'omeopatia è un'alternativa alle multinazionali ora sapete che non hanno nulla di diverso. Nel male, soprattutto.

Alla prossima.

Aggiornamento (25/07/12): Anche la DHU (associazione che riuniva aziende omeopatiche) ha annunciato di aver bloccato i finanziamenti al giornalista Fritzsche.

sabato 14 luglio 2012

Bad Medicine: Glaxo Smithkline, colpevole

Dopo una lunga indagine (dal 1997 al 2004) e diverse ammissioni di colpevolezza (prima nascoste poi rese pubbliche per giungere ad un accordo con le autorità), una delle aziende farmaceutiche più grandi al mondo, la Glaxo SmithKline è stata condannata dalla FDA (l'ente governativo statunitense di controllo sui farmaci) ad una sanzione di 3 miliardi di dollari per colpa civile e penale in fatti riguardanti la vendita, l'approvazione ed il commercio di una serie di farmaci di sua produzione. L'enorme somma è la sanzione più alta mai assegnata negli Stati Uniti d'America in frodi sanitarie.
I farmaci coinvolti sono diversi, Paxil, Wellbutrin, Avandia, Advair ed altri, si tratta di antidepressivi e farmaci per il diabete (alcuni in vendita anche in Italia anche se l'azione legale riguarda solo il territorio statunitense).
Se la cifra è da capogiro, le accuse la giustificano:
1) Utilizzo di farmaci "off label". Un farmaco può essere utilizzato "off label" (più o meno "per altre indicazioni") quando è prescritto per utilizzi non previsti tra quelli approvati ufficialmente. Un farmaco ad esempio può essere in commercio con l'indicazione di "analgesico" e per ottenere questo utilizzo le aziende devono presentare robuste documentazioni di efficacia e sicurezza. Un medico può, sempre sotto la sua responsabilità, utilizzare lo stesso farmaco per altre patologie (l'analgesico ad esempio come antifebbrile) ma solo se esiste una documentata base scientifica. Nel caso di un farmaco antidepressivo della Glaxo, questo è stato utilizzato nei minori di 18 anni anche se l'uso in questa classe di individui era espressamente controindicato.
2) Aver nascosto, anche con manipolazione dei dati ottenuti dagli studi, gli effetti collaterali di alcuni suoi farmaci.
3) Aver fatto pressioni ed omaggi ai medici per ottenere prescrizioni dei propri farmaci.

Il primo punto riguarda l'uso di Paxil (principio attivo Paroxetina), non era autorizzato per l'uso in persone di età inferiore ai 18 anni ma nonostante questo l'azienda, minimizzando i rischi (che esistono e sono conosciuti almeno da 5 anni, tanto che negli USA vi è un avvertimento sulla confezione e sulla scheda tecnica del farmaco di un aumentato rischio di suicidio in adolescenti e bambini), ha incoraggiato i medici (fornendo dati falsi) alla prescrizione anche ad individui molto giovani. Il fatto più strabiliante è proprio che l'azienda, per mezzo degli studi che aveva commissionato era già al corrente di questo rischio ma aveva occultato i dati in modo da non farli apparire allarmanti. Negli Stati Uniti sono avvenuti suicidi in ragazzi ed adolescenti che facevano uso del farmaco e, seppure il suicidio non sia per forza collegato all'utilizzo del medicinale, questo non si può nemmeno escludere del tutto: il rischio per questi ragazzi poteva essere quindi almeno ridotto se l'azienda non avesse deliberatamente nascosto i risultati di studi che li mettevano in evidenza. Per questo vi è anche un'accusa penale: omicidio colposo.
La storia della manipolazione dei dati inizia con uno studio che doveva servire proprio a confermare la sicurezza e l'efficacia del prodotto Glaxo. La ricerca iniziale concludeva che il farmaco era "sicuro ed efficace per la depressione negli adolescenti" ma la rivista (il JAMA, una delle riviste mediche più importanti negli Stati Uniti) che doveva pubblicare lo studio notò come i dati forniti non confermavano per nulla questa conclusione e respinsero la pubblicazione. I ricercatori tornarono quindi alla carica, sostituendo il dato di sicurezza ed efficacia con un più cauto "è [un farmaco ndr,] ben tollerato ed efficace per la depressione negli adolescenti". Ad una ulteriore revisione dello studio, si notò come non solo gli autori non avevano chiarito se il farmaco fosse più efficace del placebo ma che non vi era nemmeno una chiara evidenza statistica di efficacia negli adolescenti. Lo studio insomma faceva acqua da tutte le parti.
Al momento dell'indagine, gli investigatori della FDA, scoprirono che gli autori avevano consapevolmente escluso dai dati finali 11 pazienti che avevano avuto effetti collaterali importanti 5 dei quali di tipo psicotico o relativo a suicidio: erano semplicemente spariti dallo studio. L'unico paziente con effetto collaterale riportato nella statistica finale era un caso di cefalea, gli autori quindi conclusero (fraudolentemente) che il farmaco non provocava effetti collaterali importanti.

Il secondo punto: l'uso dell'Avandia (farmaco antidiabete) aveva mostrato effetti collaterali soprattutto a carico dell'apparato cardiovascolare con un rischio aumentato di ictus ed infarto. Studi successivi avevano confermato questo dato. E' emerso però che gli stessi effetti erano stati evidenziati anche negli studi commissionati dalla casa farmaceutica durante l'iter di approvazione del farmaco (cosa già successa come visto prima per il rischio di suicidio collegato agli antidepressivi) ma che gli stessi erano stati occultati con una manipolazione dei dati, agli enti preposti al controllo perchè la presenza di questi rischi avrebbe reso molto più difficoltosa l'approvazione del prodotto o in ogni caso ne avrebbe ristretto l'utilizzo.
Il terzo punto, le pressioni ai medici,è stato dimostrato che era un preciso obiettivo della Glaxo quello di fare pressioni psicologiche sui medici prescrittori potenziali. Vi era un vero e proprio "marketing" del farmaco che mediante regali che andavano dal banale biglietto per concerti o partite a costosi viaggi premio, soggiorni per famiglie intere ed altro ancora: avevano come obiettivo quello di incoraggiare i medici a prescrivere i farmaci.

Tutto quindi molto grave e la Glaxo, dopo una reticenza iniziale ha "confessato" tutto dicendosi dispiaciuta e pronta a rimediare (parte della sanzione ha come scopo il risarcimento di vittime della frode).


La Glaxo ha violato, oltre alla legge ed alla morale, anche uno dei capisaldi della salute pubblica: la fiducia.
Le autorità (l'FDA addirittura ufficialmente), gli operatori sanitari (i medici in questo caso) ed i consumatori, si basano sul principio di fiducia "fino a prova contraria". Un'azienda, soprattutto se nota ed esperta, chiede a chi si serve dei suoi beni di fidarsi (lo fanno tutte, pensate alle aziende alimentari, ci fidiamo che i loro prodotti siano sani e preparati a norma), chi sorveglia non può controllare tutto ciò che si commercia (soprattutto se basato su test falsificati) e quindi, oltre a svolgere controlli  a campione "si fida". Lo stesso i medici: se le aziende mi informano che un farmaco ha un certo effetto io mi fido. Se voglio essere ancora più sicuro approfondisco cercando la letteratura in proposito, ma la Glaxo ha falsificato pure quella, questa è frode commerciale e scientifica. Il consumatore fa altrettanto: se un'azienda produce un farmaco che ha un effetto lo assume sicuro che le parole del produttore siano affidabili. Violare il rapporto di fiducia tra produttore, prescrittore e consumatore, secondo me, è ancora più grave del commettere un errore. L'errore è umano, possibile ed aumenta con l'aumentare delle azioni, la malafede no, è consapevole ed assolutamente deprecabile.
Importante sottolineare che la Glaxo ha ammesso tutte le accuse.

Da un altro punto di vista, questa vicenda si presta a due considerazioni.
Si dice spesso che le multinazionali farmaceutiche siano "coperte" (e quindi protette) dalle autorità pubbliche. A quanto pare non è così, visto che la FDA non ha esitato a colpire violentemente (e sul lato che più interessa ad un'azienda) la violazione della Glaxo. La seconda è che i controlli esistono e questo, oltre ad aver fatto scoprire una grave frode avvenuta, serve da monito alle altre aziende ed al futuro. Un risvolto positivo di questa storia quindi è che le autorità che devono controllare lo fanno e non esitano a punire duramente.

L'azienda ha comunicato di aver collaborato pienamente con le autorità fornendo le informazioni necessarie evitando così ulteriori spese di tempo e di denaro statale.
Si dice che bisogna dare a tutti una seconda possibilità e leggendo le reazioni dei responsabili della Glaxo, credo che questa azienda abbia davvero bisogno di controllare ogni suo passo da ora in poi. Dice infatti Andrew Witty (responsabile capo della Glaxo): "Voglio esprimere il nostro dispiacere e ribadire che abbiamo imparato dagli errori fatti, i dipendenti responsabili di condotta scorretta, quando possibile, sono stati licenziati" e Deirdre Connelly (presidente del gruppo industriale): "Dobbiamo imparare dagli errori fatti ed è successo, oggi la Glaxo è un'azienda trasparente e che segue perfettamente la regolamentazione nazionale". L'azienda si è inoltre impegnata a sorvegliare tutti i lotti giacenti per evitarne l'ulteriore vendita ed ha pubblicato un elenco di medici e professionisti della salute che ricevono finanziamenti per motivi pubblicitari o scientifici, come gesto di trasparenza.

Credo che l'azienda si debba dare molto da fare per recuperare immagine e credibilità e speriamo che la lezione l'abbia davvero imparata, mi sembra il minimo perché un prossimo passo falso non sarà perdonabile.
Intanto ricordiamoci questo nome: Glaxo.

Alla prossima.

martedì 10 luglio 2012

I nomi della medicina: Henrietta Lacks

Questa è la storia di una donna praticamente sconosciuta alla quale molti di noi, la scienza e la medicina devono moltissimo.
Henrietta Lacks, nasce a Roanoke, in Virginia (Stati Uniti) nel 1920,  la mamma morì di parto ed il padre, povero coltivatore di tabacco della comunità nera in Virginia, divise i tanti (si dice 10) figli tra i parenti. Henrietta finì con il nonno ed a 21 anni sposò il cugino David dal quale aveva già avuto due figli, il primo all'età di 14 anni.
Alla ricerca di lavoro, la sua famiglia si spostò a Dundalk, contea di Baltimora, nel Maryland. A metà del 1950 la donna si accorse di  un gonfiore addominale e per questo si recò al John Hopkins Hospital di Baltimora, scelta obbligata per lei: era l'unico ospedale nelle vicinanze che curava le persone di colore. 

Henrietta era incinta. Il parto avvenne a novembre dello stesso anno.
Il 29 gennaio 1951 la donna si accorse di alcune perdite di sangue che si facevano sempre più copiose, si recò nuovamente nell'ospedale della vicina Baltimora per una visita, il medico notò un nodulo sanguinante sul collo dell'utero. Prelevò parte di questo nodulo e lo inviò per l'esame istologico.
La diagnosi fu terribile: carcinoma epidermoide della cervice uterina, un tumore maligno. Pochi giorni dopo Henrietta fu sottoposta a sedute di radioterapia (con inserimento di tubi radioattivi nel collo dell'utero) e poi a radiazioni di mantenimento. Durante questa seconda fase furono prelevate altre cellule: una parte dal suo tumore ed una parte dal tessuto sano. Henrietta era all'oscuro di questo prelievo, in quegli anni non esistevano consensi informati o liberatorie ed i tessuti prelevati durante un esame o un intervento diventavano di proprietà dell'ospedale che poteva utilizzarli per scopi scientifici senza alcun permesso da chiedere al paziente.
Le cellule prelevate furono cedute dal medico prelevatore al dottor George Otto Gey. Nel frattempo la donna peggiorava, la sua malattia si era complicata per la sovrapposizione della sifilide. Restò in ospedale fino alla sua morte, avvenuta a 31 anni, il 4 ottobre del 1951. La malattia l'aveva vinta. Fu sepolta in una tomba senza lapide del cimitero di Clover, in Virginia.

George Gey, il medico che per primo ricevette le cellule di Henrietta
Il dottor Gey nel frattempo, si apprestava ad utilizzare le cellule prelevate alla donna per i suoi studi, in quegli anni era difficilissimo studiare approfonditamente le proprietà della cellula, messe in un vetrino infatti, dopo poco tempo, le cellule morivano e non potevano più essere utilizzate. Per questo motivo servivano sempre nuovi campioni e le analisi dovevano essere condotte con precisione e velocità, pena la perdita di tutto il lavoro svolto. Ma quella volta fu diverso: Gey si accorse che le cellule di Henrietta non erano come le altre. Invece di morire dopo pochi giorni, si riproducevano e davano inizio ad una nuova linea cellulare, identica all'originale ma del tutto nuova. Studiare continuamente e per lungo tempo la stessa linea di cellule era qualcosa di più di una "comodità" sarebbe stato un passo da gigante per la ricerca.

Provò a cambiare terreno di coltura e accadde la stessa cosa. Si trattava di qualcosa di assolutamente straordinario. Disporre di una serie di cellule "immortali" significava non solo poter condurre un'infinità di esperimenti fino ad allora impossibili ma anche poter inviare i campioni di cellule ad altri istituti, farle replicare per ottenerne quantità importanti, confrontare i risultati degli esperimenti fatti da scienziati diversi ma con la stessa qualità di cellula. Una rivoluzione.

La famiglia di Henrietta non aveva alcuna consapevolezza di quello che stava accadendo alle cellule della loro congiunta, nemmeno quando gli scienziati decisero di chiamare quella linea cellulare con le iniziali della donna: HeLa.

Le cellule HeLa da quel momento sono diventate lo strumento più popolare ed utilizzato nella ricerca medica e biologica. Basti pensare che lo stesso Jonas Salk sperimentò il suo vaccino antipolio proprio su queste cellule. La stessa produzione del vaccino avvenne grazie all'esistenza delle cellule HeLa. La notizia si sparse e tutti gli istituti di ricerca in tutto il mondo volevano un campione di quelle cellule e così avvenne: una piccola quantità di cellule raggiunse tutte le parti del pianeta, si riproducevano e davano origine ad ulteriori linee cellulari sulle quali studiare e sperimentare. Così fu.
Gli studi successivi sul cancro, sull'AIDS, la mappatura del genoma umano, gli studi sui meccanismi cellulari, l'efficacia di farmaci antineoplastici, ma anche le prove di tossicità di alimenti e cosmetici, tantissimi di questi esperimenti sono stati condotti sulle "copie" delle cellule di Henrietta. E' stato calcolato che esistono in giro per il mondo 50.000.000 di tonnellate di cellule HeLa e che oggi esistono più cellule Hela di quante Henrietta ne avesse in tutto il suo corpo, ogni 24 ore una cellula Hela origina una nuova generazione di cellule.

Cellule HeLa
La capacità di queste cellule di resistere e di prolificare ha creato anche alcuni problemi. Nei vari laboratori queste cellule talvolta sono state contaminate con il risultato di diventare cellule "mutate", da altre colture cellulari (sono state modificate da altri organismi, dei virus ad esempio utilizzati negli esperimenti) e quindi esistono campioni di cellule HeLa che in realtà non sono puri e non discendono solo da quelle originali avendo "genitori" differenti e diventando quindi cellule in tutto e per tutto diverse dal ceppo originale, pur mantenendo ufficilmente il loro nome. Questo problema (ormai accertato) è sempre più diffuso. Esistono così esperimenti che sono stati invalidati per la presenza di contaminanti nel campione di cellule HeLa utilizzato e laboratori che, convinti di utilizzare "vere" cellule HeLa, sono in realtà in possesso di linee cellulari ormai non "controllate". Si ritiene che la "mutazione" più importante sia stata causata da un tipo di HPV (virus umano del papilloma, causa del cancro del collo uterino).

Questo risvolto ne ha avuto un altro ancora più sorprendente. Il fatto che le cellule HeLa si siano unite ad altre e continuino a proliferare, le rende molto somiglianti ad una specie vivente del tutto nuova.
In effetti le continue contaminazioni hanno reso le cellule "non pure", non solo del tutto diverse da quelle originali di Henrietta ma addirittura "non umane": il loro corredo genetico è differente dal nostro (per questo gli esperimenti su queste cellule non possono essere considerati attendibili come esperimenti "sulle cellule umane"). La loro capacità di replicarsi "senza controllo" (cioè senza che siano stimolate dall'uomo ma spontaneamente) e la presenza di una mappa cromosomica (l'insieme dei cromosomi) del tutto originale e diversa da quella umana (per esempio hanno più cromosomi di quelle umane), hanno indotto alcuni scienziati a descriverle come una nuova specie, tanto unica da meritarsi un nome:  Helacyton gartleri, dal nome dello scienziato che prima l'ha descritta.
L'ipotesi affascinante (e forse un po' angosciante) è che si tratterebbe del primo organismo vivente evolutosi a partire dall'Homo sapiens.

Come si vede la storia di una povera donna americana ha cambiato radicalmente la storia di tutti noi, a sua insaputa. Anche i famigliari della donna non erano a conoscenza di tutto ciò che avvenne dopo la morte di Henrietta, successe negli anni '70 quando alcune istituzioni scientifiche, con lo scopo di approfondire le conoscenze sulle cellule HeLa, chiedevano ai lontani parenti di Henrietta di donare campioni di sangue, capelli o altro. Fu allora che questi scoprirono l'incredibile storia della loro parente. Ciò non cambiò particolarmente la loro vita. Ricevettero alcune onorificenze e riconoscimenti da diverse università ma non ebbero nessun ritorno economico (che invece hanno avuto quelli che queste cellule le hanno commerciate, ancora ai giorni nostri), tanto che Henrietta è sepolta in un cimitero ancora senza la lapide. "Per noi è un lusso ancora oggi", dice uno dei figli della donna.
Considerato che i campioni di cellule Hela sono stati venduti in tutto il mondo ed hanno dato origine a brevetti e guadagni, forse qualcuno avrebbe potuto pensare ai discendenti della donna.

Rebecca Skloot, giornalista scientifica, ha scritto un libro di successo sulla vita di Henrietta, "padrona" delle cellule immortali: HeLa: The Immortal Cells of Henrietta Lacks che racconta non solo la storia della povera donna ma anche quella dei suoi discendenti.
Si pensi che ognuno di noi, a partire da me che scrivo, ha avuto a che fare almeno indirettamente con Henrietta. Almeno con una parte di lei.

"Lei era una donna generosa, e io sono felice che mia madre abbia contribuito così tanto alla ricerca. Era generosa e continua a esserlo. Henrietta Lacks vive ancora oggi". (David Lacks, figlio di Henrietta).

Henrietta Lacks ed il marito David

Alla prossima.

lunedì 2 luglio 2012

Scienza for dummies - 2

Nella prima parte dell'articolo ho cercato di riassumere in maniera semplice alcune basi della ricerca scientifica, dei suoi limiti e delle potenzialità.
La scienza è fatta da ipotesi (la Terra è rotonda, gli asini volano, un batterio causa un'infezione...) che poi devono essere confermate dagli studi, questo perchè un'ipotesi, seppur interessante e plausibile, deve essere per forza di cose confermata per diventare "accettabile" scientificamente. Parliamo di medicina, un'ipotesi medica ha un'unica possibilità di conferma, quella che si può trovare sperimentando, ripetendo gli esperimenti e facendoli controllare a chi li legge. Solo così un'ipotesi può diventare una realtà più oggettiva possibile, quindi scientifica. In caso contrario l'ipotesi è falsa o non dimostrata.

Davanti ad una teoria medica è quindi fondamentale capire chi l'ha formulata (a volte anche "l'abito può fare il monaco"), come lo ha fatto e se quello studio ha la validità utile a diventare una prova almeno accettabile di conferma della teoria di partenza.
Abbiamo visto come uno studio scientifico abbia alcuni punti fermi su cui basarsi ma in pratica, come si fa una studio scientifico? Quando in questo blog rimando agli studi a cosa mi riferisco, perchè "mi fido"? Una pubblicazione scientifica non è che una rivista cartacea (oggi ne esistono anche di versioni "on line") esattamente come i giornali o i periodici in vendita in edicola. Si occupa di diffondere le scoperte, le idee, gli aggiornamenti e le discussioni che avvengono in ambito scientifico. Sono quasi sempre "settoriali" e così esisterà la rivista di medicina ma anche quella di matematica, fisica, astronomia, biologia e così via. Possono essere anche "ultraspecializzate" così in medicina esisterà la rivista di neurologia o in ingegneria quella dedicata ai materiali plastici. Ciò che è pubblicato è quello che gli studiosi di tutto il mondo inviano alla rivista per far conoscere ai colleghi i risultati dei loro esperimenti.


La copertina di un numero di The Lancet, una delle riviste mediche più importanti al mondo
In genere le riviste più note e prestigiose compiono un controllo molto attento degli studi che ricevono (scegliendo poi se pubblicarli o meno) mentre quelle meno "importanti" possono pubblicare senza nemmeno curarsi della qualità dello studio. Esistono addirittura riviste "truffaldine" che chiedono denaro in cambio della pubblicazione dell'articolo e per questo non controllano per nulla la qualità o la veridicità di quanto ricevuto. Una ricerca scritta male, organizzata disordinatamente o poco importante riceverà molto difficilmente l'attenzione di riviste prestigiose e dovrà accontentarsi di essere pubblicata in quelle di scarso livello o addirittura di non diventare mai di dominio pubblico. Al contrario uno studio rivoluzionario o di grande qualità può puntare in alto e vedersi (con grandi sforzi) tra le pagine delle riviste scientifiche più prestigiose del mondo.
Per questo, quando si legge "uno studio rileva che..." non è detto che la "scoperta" sia così importante o rivoluzionaria e questo vale anche per gli studi pubblicati su riviste di un certo livello (ricordate il caso Benveniste su Nature o quello Wakefield su Lancet?).
Come si fa a sapere se una rivista gode di prestigio o è una raccolta di "ciarpame" scientifico?
Notorietà a parte (nomi come "Lancet" sono garanzie di serietà anche se possibili protagonisti di "scivoloni" incredibili, come già accaduto), esiste una sorta di "classifica" che permette di comprendere, entro certi limiti, l'importanza di una rivista scientifica (e quindi l'attendibilità di ciò che leggiamo). La classifica si compila secondo il valore del cosiddetto "impact factor" (fattore d'impatto, IP) che  consiste in un punteggio calcolato contando il numero di volte che la rivista è stata citata in altri lavori scientifici. Se molti scienziati basano le loro ricerche su quelle pubblicate in una certa rivista "evidentemente" questa è considerata seria ed attendibile. Se il valore di impact factor è molto basso significa che pochissimi (o nessuno) ricercatori si sono basati sulle ricerche pubblicate da questa, che quindi in ambito accademico gode di poca stima o considerazione. Questo punteggio è discutibile (e discusso) e persino "manipolabile" ma non mi addentro per non deviare il discorso. Per avere dei riferimenti, Lancet (forse la rivista medica più prestigiosa al mondo), ha un IP di 38,8, una rivista "storica" e reputata "bibbia" scientifica come Nature ha un impact factor di 31, il British Journal of Surgery (che anche se seria è di settore e non di valore altissimo) ha un 4,8 mentre esistono riviste con IP bassissimo come 2 o 1 o addirittura non hanno alcuna citazione. Con molta probabilità queste ultime non hanno alcun peso in campo scientifico (sarebbe meglio dire medico perchè in certi ambiti anche un IP di 2 potrebbe avere il suo valore).

Ma cos'è uno studio scientifico? Cosa vuol dire, come si pubblica?
Niente di più semplice (insomma...), si scrive esattamente ciò che si pensa di avere scoperto e si invia il tutto ad una rivista.
Sembra facile...in realtà servono alcuni mezzi, un po' di esperienza e tante idee valide.
Uno studio è composto da varie parti (come dei capitoli) precedute dai nomi degli autori (che sono scritti in un ordine ben preciso, in genere il primo nome è l'autore principale, l'ultimo è quello inserito per "prestigio" o perchè direttore del centro di ricerca) e dall'istituzione nella quale lavorano:

Abstract: un estratto, una sorta di riassunto dello studio per evidenziare i punti salienti e far capire subito a chi lo legge di cosa si parla.

Materiali e metodi: una descrizione del metodo utilizzato per lo studio, i mezzi tecnici, il tipo di esperimento, le caratteristiche dei farmaci (ad esempio) o delle persone studiate. Un modo per rendere chiara la ricerca e per permettere a chi lo volesse, di ripetere lo studio nelle stesse identiche condizioni.

Risultati: i risultati dello studio, l'analisi statistica, i numeri nudi e crudi.

Discussione: la discussione sul significato dei risultati, cosa può aver concluso l'esperimento, le considerazioni finali.

Per facilitare la ricerca degli studi nelle banche dati, queste conservano gli abstract (a loro volta catalogati con delle parole chiave) tramite i quali l'interessato può consultare lo studio completo.

Un esempio di "abstract". Il riassunto dello studio, diviso nelle varie sezioni.
Oggi le ricerche in campo medico aggiungono alla fine dello studio anche l'eventuale esistenza di "conflitto di interessi" (ad esempio se uno degli autori ha lavorato per l'azienda farmaceutica che ha prodotto il farmaco dell'esperimento analizzato) o la provenienza dei finanziamenti per lo studio, una sorta di "operazione trasparenza".

Uno studio scientifico è in inglese, per convenzione e semplicità di comunicazione, esistono anche studi in lingua originale (quindi anche in italiano) ma in questo caso si tratta quasi sempre di studi "minori" ed a diffusione locale.
Non è per niente necessario che a pubblicare sia un medico o uno scienziato. Chiunque in teoria, se ha un'idea valida ed ha condotto uno studio decente può vedere il suo nome stampato in una rivista scientifica (James Randi, colui che smentì lo studio di Benveniste sulla "memoria dell'acqua" è un illusionista ed una bambina di 12 anni è la persona più giovane mai apparsa come autore di uno studio scientifico, nel suo caso smentì i "poteri" di guaritori americani) anche se è evidente che lo scienziato possiede più mezzi ed esperienza di chi non è del campo.

Dopo aver scritto lo studio, corretto, rivisto e controllato, è il momento di cercare una rivista disposta a pubblicarlo. Se penso di aver scoperto qualcosa di rivoluzionario o particolarmente importante potrei spedire tutto ad una grande rivista, consapevole che in questo caso i controlli e le obiezioni saranno pignole ed attente, al contrario potrei accontentarmi di una rivista di minore importanza o addirittura di una delle tante riviste che accettano qualsiasi pubblicazione senza nemmeno controllarne il testo. Esistono riviste (spazzatura) che pubblicano qualsiasi cosa, basta che sia corrisposto un "adeguato" pagamento in denaro anche se non è detto che una rivista che pubblichi a pagamento sia per forza "truffaldina" (e ne esistono di serie che si finanziano proprio con i pagamenti degli autori delle pubblicazioni).

In genere una rivista prestigiosa ha una sorta di "commissione esaminatrice" i cosiddetti "referees" che controllano la ricerca, i suoi risultati, la corretta interpretazione di questi, spingendosi anche ai commenti sull'ortografia ed al buon inglese, esegue insomma una "revisione" dello studio ed essendo dei "colleghi" del ricercatore, fanno una "revisione tra pari" (nessun timore reverenziale né supponenza quindi, gli scienziati sono tutti uguali). I "controllori" sono in genere esperti del settore sconosciuti agli autori della rivista (o potrebbero favorirli per "amicizia" o "rispetto").

Una rivista importante ha in genere un controllo molto severo e si arriva a continui "rinvii" della pubblicazione con inviti a correggere una frase, una tabella, poi un nuovo controllo con nuove correzioni, anche sull'ortografia e così via. Dal primo invio all'effettiva pubblicazione di uno studio possono passare pure mesi (molto sospetta la pubblicazione data alle stampe poche settimane dopo il suo arrivo per l'accettazione). Una rivista che non prevede questa revisione è in genere molto scadente.

La ricerca non fa altro che esporre i risultati di un esperimento (per esempio l'efficacia di un farmaco o la presenza di effetti collaterali di un altro) e chi legge può così ricavare informazioni preziose, provare a riprodurre quei risultati, controllarne l'effettiva evidenza, eccetera.
Di fronte ad uno studio può succedere pure di non essere d'accordo con le sue conclusioni e quindi chi legge potrà pure commentare negativamente (motivando le sue critiche) i risultati o pubblicare a sua volta uno studio che li contraddice e persino scoprire una frode scientifica (Brian Deer con Andrew Wakefield ha fatto proprio questo). E' uno dei meccanismi di controllo più accurati ed efficaci che possano esistere. Uno studio è "pubblico" così chiunque può controllare, accettare o smentirne i risultati e la "comunità scientifica" è proprio l'enorme numero di scienziati che di fatto compie un controllo a posteriori sugli studi pubblicati e sui risultati di un dato esperimento.

Il dovere di un ricercatore, naturalmente, è quello di compilare studi più corretti possibile, accurati, controllati, cercando di limitare gli errori ed i fattori che condizionano i risultati ma è anche vero che non esiste lo studio perfetto ed ogni conclusione, anche quella che sembra più evidente, deve essere presa per quello che è. La scienza non è "definitiva" ma si evolve, cambia opinione, cresce.
Così c'è un solo modo di cercare di ottenere un risultato oggettivo: limitare gli errori di metodo.

Uno dei mezzi più utilizzati per diminuire la possibilità di errore è la cosiddetta "randomizzazione", ovvero la scelta random, a caso, dei partecipanti alla ricerca, all'esperimento e per testare la reale efficacia del farmaco lo paragonerò ad un placebo. Il placebo è una "pillola" composta da una sostanza inerte, senza effetti, così che chi la assume non avrà grossi benefici (anche se qualche piccolo beneficio derivante dalla suggestione e dal fatto di "sentirsi controllati" probabilmente apparirà).
Ho quindi due strumenti: il placebo e la randomizzazione, i risultati sono già sufficientemente attendibili.

 

Per capire meglio: se dovessi sperimentare un nuovo farmaco contro la pressione alta, non sarebbe corretto provarlo solo su individui giovani e che praticano sport o i risultati finali saranno con molta probabilità "ottimistici", positivi ed a favore del farmaco. Questo perchè gli individui più giovani e sportivi hanno meno probabilità di avere la pressione arteriosa sopra i limiti. Per il motivo opposto non otterrei risultati attendibili se provassi il farmaco solo su individui anziani e fumatori, questi probabilmente avranno la tendenza ad avere la pressione più alta e quindi i risultati dell'esperimento ne risulterebbero condizionati. Cosa faccio per ottenere un risultato più corretto possibile? Mescolo i gruppi, scelgo a caso. Nel gruppo che assumerà il placebo vi saranno individui sia giovani che anziani, sia fumatori che sportivi e così nell'altro, il gruppo che assumerà il vero farmaco. I risultati così, non saranno condizionati dalle persone e dal loro stile di vita ma solo dall'assunzione del farmaco. Questa è anche una rappresentazione "in piccolo" della realtà: la società infatti è formata da individui differenti per età, abitudini, stili di vita e salute e per sperimentare correttamente l'effetto di una nuova molecola devo necessariamente scegliere in maniera "random" (casuale) i partecipanti allo studio, "randomizzo" quindi i soggetti che verranno analizzati. Visto che il farmaco è "standard" devo accertarmi che i risultati siano simili per tutti coloro che la assumeranno, indipendentemente dal loro stato.

Sono già a buon punto e per quanto possibile ho evitato gli errori più evidenti, i cosiddetti "bias", non riusciremo mai a realizzare uno studio perfetto ed esente al 100% da possibili condizionamenti e bias ma cercheremo per quanto possibile di limitarli. L'errore potrebbe essere involontario.
Uno scienziato potrebbe essere talmente convinto della sua idea che lo studio che la sperimenta, involontariamente è condizionato dalle sue convizioni. Si chiama "bias di conferma", scegliere i metodi e selezionare i risultati per ottenere la risposta che volevo, fenomeno che in medicina può essere molto pericoloso e può essere fatto in buonafede o con intenzioni non proprio limpide.
Se un'azienda farmaceutica sta sperimentando un nuovo farmaco contro la cefalea (con investimenti enormi e tempi lunghissimi), il fallimento dello studio significherebbe aver perso tempo, denaro e risorse e pure utili futuri. Ho un modo per "aggiustare" i risultati, basta "sistemare" lo studio riportando solo i numeri che giocano a favore della mia causa.
Il presunto nuovo farmaco contro la cefalea, alla fine degli esperimenti ha mostrato di non funzionare in maniera significativa, ma l'azienda nota che in un gruppo di volontari che hanno partecipato allo studio la cefalea in effetti veniva curata efficacemente, sono le persone di età compresa tra i 30 ed i 40 anni.
Se lo studio concludeva che quel farmaco non aveva effetto significativo basterebbe escludere dalle statistiche tutti i soggetti che non fanno parte di quella classe di età, che faccio "scomparire". Non ho condotto quindi un esperimento corretto ma l'ho sistemato per ottenere ciò che desideravo.

Con i nuovi numeri posso concludere che il mio farmaco funziona: lo vendo e guadagno. Senza alcuna giustificazione scientifica.
Può succedere altro.
Lo stesso presunto farmaco contro la cefalea non funziona più di quelli in commercio. Anche in questo caso avrei sprecato anni e soldi. Come posso fare per recuperarli?
Semplice, "distrarre" l'attenzione dall'efficacia e concentrarla sugli effetti collaterali.
Il mio studio inizialmente si intitolava "Efficacia del nuovo farmaco contro la cefalea" ma visto il fallimento si intitolerà "Sicurezza del nuovo farmaco contro la cefalea". In pratica il nuovo farmaco non è migliore di quelli esistenti (e quindi non potrei venderlo) ma provoca meno nausea e meno gastriti (e così posso venderlo).

Nella peggiore delle ipotesi potrei pure nascondere degli effetti collaterali gravi o potrei non accorgermi degli stessi perchè qualsiasi sia il numero di soggetti sui quali il farmaco è sperimentato, non sarà mai così grande (e di conseguenza così attendibile) come quando il prodotto è consumato in tutto il mondo: in fondo ogni farmaco in commercio è un grande esperimento anche dopo la sua vendita. Nel caso di una tale frode deliberata si tratterebbe di un gravissimo danno non solo perchè probabilmente causa di problemi di salute ma anche per aver carpito la buonafede di milioni di medici di tutto il mondo (non dimentichiamo che se si compie una frode scientifica, anche il medico è una vittima perchè ha basato le sue prescrizioni su qualcosa che credeva attendibile).
Un altro elemento fondamentale della ricerca scientifica è che quasi mai uno studio è "definitivo". Uno studio singolo dimostra molto poco e tranne vere e singolari scoperte scientifiche ogni ricerca deve essere ripetuta altre volte, da altri scienziati ed in altre condizioni per vedere confermate le sue conclusioni.

Beh, le cose come vedete cominciano a farsi complicate.
Tanto difficili che qualcuno potrebbe pensare che è davvero improbabile che un semplice cittadino o uno scienziato senza "appoggi" importanti riesca a fare una grande scoperta o a raggiungere le vette della scienza. E' una delle giustificazioni che avanzano molti ciarlatani: secondo loro le grandi scoperte di cui sono protagonisti non vedranno mai approvazione scientifica perchè le riviste, gli ambienti accademici e le "lobby" sono tanto chiuse e rigide.
Saranno pure davvero rigide e chiuse ma questa è fondamentalmente una scusa.
E' chiaro che non è possibile da parte della comunità scientifica "analizzare" qualsiasi idea venga in mente a tutti gli abitanti del pianeta o rendere conto a tutti coloro che si svegliano affermando di avere scoperto la cura del secolo ogni giorno, ma chi ha davvero un'ipotesi interessante può ragionevolmente sperare di farcela.
Letteralmente chiunque può diventare da un momento all'altro un nome illustre della scienza e della medicina è accaduto ed accade anche ai giorni nostri, come vedremo in un prossimo articolo.

Alla prossima.